“Progetto Restart” apre lo sportello antiviolenza

SERMONETA – Si avvia alla conclusione il lungo progetto contro le discriminazioni di genere, un tema che ha visto impegnata l’amministrazione comunale di Sermoneta fin dall’inizio del mandato, promuovendo numerose iniziative di sensibilizzazione e che culminerà con l’apertura dello sportello antiviolenza a Pontenuovo in collaborazione con il Centro Donna Lilith e che sarà inaugurato lunedì mattina 29 aprile alle ore 10.30 alla biblioteca comunale di Pontenuovo.

tta dell’evento conclusivo della campagna “Restart” (acronimo dell’inglese “Remove stereotypes from adults and children toghether, letteralmente “Rimuovere insieme gli stereotipi da adulti e bambini”) promossa dall’amministrazione comunale con il coinvolgimento del Centro Donna Lilith e dell’Istituto comprensivo Donna Lelia Caetani di Sermoneta, iniziata a novembre.

Restart ha previsto tre fasi: incontri nelle scuole con le operatrici antiviolenza, incontri formativi con i docenti per fornire gli strumenti per l’individuazione di violenza domestica, ed eventi dedicati ai temi della discriminazione e violenza di genere. Restart rappresenta lo sviluppo e l’ampliamento del percorso già iniziato durante l’anno scolastico 2021/2022 con la scuola di Doganella, ampliandolo anche agli altri plessi.

“Questo perché è proprio dalla scuola che dobbiamo partire per invertire la rotta e combattere una spirale di violenza, fisica ma anche verbale, ed educare bambine e bambini al rispetto del prossimo e dell’altro», spiegano il sindaco Giuseppina Giovannoli e la consigliera alla pubblica istruzione Sonia Pecorilli. «I fenomeni del bullismo e della violenza sulle donne sono innanzitutto culturali, per questo è importante intervenire nelle scuole che rappresentano la prima comunità formativa e il luogo per la crescita e la costruzione identitaria di ciascuna persona”.

La mattinata di lunedì sarà impreziosita dai lavori degli studenti dell’istituto comprensivo Donna Lelia Caetani con tema la violenza di genere. L’evento è aperto al pubblico e la cittadinanza è invitata a partecipare.

Viterbo – Invalida in carrozzina minacciata di morte dai vicini che volevano occuparne la casa popolare, è ripreso venerdì davanti al giudice monocratico Jacopo Rocchi del tribunale di Viterbo il processo per stalking, disposto a suo tempo col giudizio immediato dal gip Giacomo Autizi su richiesta della procura.

Imputati una coppia e il presunto complice, colpiti il 30 luglio 2021 dalla misura cautelare del divieto di avvicinamento. La richiesta di giudizio immediato dell’allora pm Franco Pacifici risale al 22 novembre 2021. La prima udienza fu fissata dal gip per il 26 aprile 2022, esattamente due anni fa. Se tutto va bene il processo si concluderà entro il 2024.

La persecuzione si sarebbe protratta per diversi mesi e avrebbe avuto per teatro una delle palazzine dell’Ater del quartiere viterbese di Santa Barbara. Difesi dall’avvocato Luigi Mancini, marito e moglie, di 55 e 53 anni, hanno sempre negato tutto.  È’ d’origine siciliana e ha 43 anni il coimputato.

In aula per l’accusa due poliziotti, che hanno ricostruito alcuni degli episodi sfociati nel processo, che riprenderà in autunno per sentire altri due agenti della questura, l’esame degli imputati e la discussione.

Staccati ripetutamente acqua e luce. La vittima, secondo quanto emerso in seguito all’applicazione della misura cautelare, avrebbe temuto di essere trascinata in cantina e uccisa. Per spaventarla i vicini, imputati di stalking, si sarebbero messi a parlottare contro di lei proprio dietro la porta d’ingresso del suo appartamento situato in un condominio di via Tagete. E le avrebbero anche staccato ripetutamente acqua e luce per convincerla a sloggiare e occupare loro l’appartamento di cui la donna, una vedova, è assegnataria.

“Ti trasciniamo in cantina”. “Ti violentiamo”, avrebbero detto a voce abbastanza alta da farsi sentire dalla vittima, costretta a casa sulla sedia a rotelle. “Ti trasciniamo in cantina quando scendi a buttare il sacco dell’immondizia”, avrebbero complottato fuori la porta, facendole intendere che l’avrebbero uccisa. E ancora: “Sei malata, non hai titoli per stare qui, te ne devi tornare mel tuo paese”.