La mostarda di Ponza, dalle origini borboniche, ingredienti, usi, particolarità principale l’uso dei fichi d’India
PONZA – Chi non conosce la mostarda, solitamente quelle prodotte nel nord Italia, un condimento piccante da utilizzare in cucina. Anche il Lazio ha la sua mostarda, con caratteristiche diverse e di origini antiche. La mostarda di Ponza, diversamente da quelle del Nord, non è un condimento piccante, ma di una sorta di caramella a base di frutta e semi. Una tradizione antica risalente ai tempi della colonia borbonica, che oggi ricordano in pochissimi.
Parlando di mostarda, si può risvegliare soltanto il ricordo di opulenti bolliti misti o di antiche ciambelle da conservare in credenza. Ciò che è vero per le regioni del Nord, nel Lazio la mostarda è qualcosa di piuttosto diverso. Per scoprirlo occorre fare un salto sull’isola di Ponza, la maggiore del meraviglioso arcipelago in provincia di Latina, dove erano queste le settimane, nei tempi passati, per la preparazione delle mostarde ponzesi. Dolcetti che si tramandano da secoli preparati con mosto e semola di grano, oltre a un ingrediente insolito e abbondante in territorio pontino: i fichi d’India.
Sembra che la preparazione prenda il via già nel XVIII Secolo, quando Ponza era una colonia borbonica. In quel periodo i Borbone promossero, infatti, un’intensa colonizzazione e urbanizzazione dell’isola trasformandola in un sito strategico con la costruzione di grandi opere tra cui il porto, il cimitero e la fortezza. Anche la gastronomia locale si fece un po’ più complessa, come testimonia la nascita delle mostarde.
Al plurale, sì, perché il risultato finale somiglia a bocconcini — quasi ‘caramelle’ — che poco hanno a che vedere con quelle settentrionali. Oggi sono uno dei PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Lazio, con una ricetta tramandata soltanto in alcune famiglie e purtroppo quasi introvabile nelle botteghe del posto. Mosto, fichi d’India e semola di grano gli ingredienti delle mostarde ponzesi.
La base è la stessa di alcune altre mostarde italiane. Ossia il mosto d’uva, da far bollire finché la quantità non si riduce di un terzo e poi schiumare per eliminare le impurità. Nel frattempo si lavorano i frutti del fico d’India, cuocendone la polpa e poi unendola al vin cotto. Al raggiungimento dell’ebollizione, si aggiunge gradualmente la semola di grano duro, responsabile della presa di consistenza.
Si aggiungono poi semi di finocchietto selvatico, che daranno un profumo particolare, e poi si versa il composto in teglie che riposano una notte. Quando il tutto è rappreso, si taglia in quadratini o rombi da far asciugare al sole finché completamente asciutti. Per velocizzare, oggi, è possibile passarle anche in forno.
Per completezza di informazione sarà utile ricordare quanto variegata sia la famiglia delle mostarde. Da non confondere col francese moutarde o l’inglese mustard — che indicano quella che conosciamo come senape — il termine italiano deriva da mustum ardens, a significare sia la presenza di mosto che la piccantezza. Quella data in alcuni casi dai semi di senape, che insieme a zucchero, miele o appunto mosto sono uno degli ingredienti. Non manca mai la frutta, a volte a pezzi interi e altre in tocchetti o purea, in un procedimento già noto nell’Antica Roma. La parte speziata arrivò invece tra Medioevo e Rinascimento, al mutare di gusti e palati.
Tra le mostarde più note ci sono quelle di Cremona, Mantova e del Veneto, senapate e piccanti ma senza mosto, mentre è il contrario per quelle di Carpi, le piemontesi e alcuni esempi nel Sud Italia. In Romagna e a Bologna invece la mostarda è spiccatamente dolce e assimilabile alla confettura, e si usa in ricette come la pinza o le raviole.
Come le ‘cugine’ di diverse regioni, anche la mostarda ponzese è nata per prolungare la disponibilità e la conservazione di ingredienti oltre il loro momento di maturazione, in questo caso dei fichi d’India, che in estate sono al loro momento di più ricca produzione.
Nelle altre stagioni si aveva così un prodotto serbevole, nutriente e anche naturalmente dolce, che serviva anche da presente in occasioni speciali. Durante la ricorrenza del 2 novembre — ricordano alcuni isolani — quando venivano donati ai bambini insieme a cioccolatini e altri dolcetti, come regalo da parte dei defunti.



