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Morte Singh: il gip di Latina, ‘da indagato comportamento disumano’

“Prescindendo da valutazioni etiche (irrilevanti per il diritto penale) che pure si imporrebbero a fronte di una condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà, non può sottacerti che l’indagato si è intenzionalmente e volontariamente disinteressato delle probabili conseguenze del suo agire”. A scriverlo il gip di Latina, Giuseppe Molfese, nell’ordinanza cautelare in carcere emessa a carico di Antonello Lovato, titolare dell’azienda agricola dove lavorava Singh Satnam, il 31enne indiano deceduto il 19 giugno scorso dopo essere rimasto vittima, nei giorni precedenti, di un incidente sul lavoro a Latina.

Nell’ordinanza di 26 pagine il giudice ricostruisce quanto avvenuto il 17 giugno a Cisterna di Latina. Per il gip “è Lovato, che, contrariamente a quanto dovuto, carica il corpo nel furgone e separatamente l’arto amputato e, sempre il Lovato, abbandona il corpo e l’arto a via Genova, dandosi alla fuga”.

Per il tribunale di Latina, “è di tutta evidenza la circostanza per la quale l’indagato non voleva la morte del suo bracciante indiano, ma per la condotta posta in essere e le lucide modalità operative (sconfessate solo delle sue dichiarazioni, a tenore delle quali avrebbe agito nei termini descritti perché sotto shock) – è detto nell’ordinanza – ha ragionevolmente previsto il probabile decesso del Satnam, accettando consapevolmente il rischio”.

Le condizioni del bracciante “in stato di semi incoscienza, con un braccio amputato e copiosa perdita ematica, rendono, per la valutazione di chiunque, inevitabile l’evento mortale, soprattutto in assenza di un repentino intervento sanitario”.

I comportamenti successivi all’abbandono del corpo “argomentano e caratterizzano univocamente la condotta omicidiaria – scrive il gio -, proprio nei termini descrittivi del dolo eventuale”. L’indagato ha omesso di chiamare i soccorsi, “fugge con il furgone, provvede a ripulire il sangue: la principale finalità dell’indagato era di tutta evidenza quella di celare l’accaduto, d’altra parte, un suo lavoratore, irregolare sul territorio nazionale, privo di contratto, sguarnito di protezioni anti-infortunistiche e adoperando strumentazione da lavoro non certificata, si era amputato un braccio, perdeva copiosamente sangue e aveva subito altre gravi lesioni”.

Pur “di nascondere e dissimulare la realtà, con condotta intenzionale, ha posto in essere tutti gli accorgimenti descriti, anche a costo di concretizzare l’evento mortale che, progressivamente, si poneva dinanzi a lui”, conclude il giudice.