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Condannato a vent’anni dal Tribunale “Romolo” Di Silvio, nell’inchiesta “Scarface”

LATINA – SI è chiuso il processo per l’inchiesta “Scarface” contro Giuseppe «Romolo» Di Silvio, condannato a 20 anni dal Tribunale di Roma dove il P. M., Luigia Spinelli della Dda, aveva contestato l’associazione per delinquere di tipo mafioso e l’associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Al termine della camera di consiglio il gup Roberto Saulino ha accolto pienamente la prospettazione dell’accusa e ha condannato il leader del sodalizio alla stessa pena richiesta dal magistrato. Disposto, inoltre, il risarcimento al Comune di Latina, di 20mila euro anche l’Associazione Caponnetto, si era costituita. Tra 60 giorni le motivazioni del dispositivo.

L’attività investigativa dell’inchiesta Scarface, era stata condotta dalla Squadra Mobile e nell’ottobre del 2021 il gip di Roma aveva emesso 33 ordinanze di custodia cautelare, contestando il vincolo associativo e i reati di spaccio ed estorsione. Nel corso della sua requisitoria il pm aveva messo in luce il carisma e il ruolo indiscusso di leader dell’imputato (condannato in via definitiva a 25 anni per l’omicidio di Fabio Buonamano ucciso nella guerra criminale del 2010). Era al vertice del clan e il pm ha messo in luce lo spessore criminale, sulla scorta anche delle dichiarazioni rilasciate dai collaboratori di giustizia. La difesa – rappresentata dagli avvocati Francesca Coppi e Angela Campilongo – nel suo intervento aveva cercato di scardinare le accuse chiedendo l’assoluzione. Nell’inchiesta Scarface tra le parti offese ci sono: giovani, commercianti e professionisti della città. In un caso un ragazzo vittima di una estorsione è stato «scortato», aveva ricostruito il pm nella requisitoria, al bancomat dai Di Silvio per prelevare i soldi richiesti. In un’altra circostanza l’accusa ha ricordato cosa fosse accaduto ad un ragazzo a cui è stata presa l’auto con la forza. Nell’inchiesta è emerso che il gruppo capeggiato da Giuseppe «Romolo» Di Silvio aveva messo le mani sullo spaccio nel quartiere dei pub e sulle estorsioni a diversi commercianti. Inoltre gli inquirenti avevano sottolineato che l’associazione per delinquere era strutturata.

Avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà si leggeva nell’ordinanza restrittiva del G.I.P. “Comandava impartendo direttive e dando gli ordini agli altri componenti, pur essendo da anni detenuto in carcere. La sua pericolosità, inoltre, prosegue il magistrato, si percepiva quando “incitava i componenti del sodalizio a prendersi in mano la città di Latina”.

Nelle motivazioni della sentenza Scarface – depositate nelle scorse settimane – i giudici avevano scritto che: «Appare provato che gli imputati sotto la figura di Giuseppe detto Romolo Di Silvio abbiano agito in accordo tra loro per la commissione di un numero di reati in plurimi settori».

Per le condanne le difese hanno depositato il ricorso in Corte d’Appello.